Quando l’empatia è più di una parola

A proposito di relazioni umane, della presa di coscienza di chi è altro da sè e di flussi di empatia, segnaliamo un’iniziativa che, chiamando a raccolta arte, coscienza sociale, consapevolezza personale, coraggio e curiosità, tocca delle corde profonde.

Mettersi nei panni – o nelle scarpe,  come si dice nel mondo anglosassone – dell’altro, è una pratica talmente poco frequentata, spesso difficile ma così importante per ognuno di noi, da spingere un gruppo di operatori culturali inglesi a creare Empathy Museum.

Si tratta di una serie di progetti socio-artistici partecipati per aiutare la persona a vedere il mondo attraverso gli occhi dell’altro e ad esplorare, con tre diverse modalità, il modo in cui l’empatia non solo trasforma le nostre relazioni personali, ma riduce sensibilmente l’impatto di pregiudizi, conflitti e diseguaglianze.

Si può scegliere di camminare per un certo lasso di tempo indossando le scarpe di chi non si conosce ascoltando in cuffia la narrazione della sua storia (A mile in my shoes).

Si può scegliere tra i mille e un libro avvolti in carta bianca donati da chi li ha amati e crede che anche ad altri potranno piacere, sulla base di una sinossi personale e dei sentimenti che ha suscitato.

Si può scegliere di accedere alla Biblioteca Umana prendendo in prestito non un volume cartaceo ma una persona – libro vivente – per conversare, ascoltare, cercare di capire.

Una iniziativa itinerante che porta in giro per i quartieri e ovunque la si richieda un container di scarpe cui è abbinata la storia della persona che le ha possedute, uno di libri bianchi che hanno generato particolari emozioni, e riunisce attorno a sè persone di varie esperienze ed estrazioni che hanno storie da condividere con chi ha desiderio di ascoltarle.

www.empathymuseum.com